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Tonino Zana

Aldo Moro – La congiura dei mediocri

Cronaca e analisi di un “affare” politico macchiato di sangue. Quarant’anni dopo tra voci, fatti inediti e dubbi consolidati.

18.00

Categoria:
Formato: 165x240x11 mm - pp. 144 - illustrato - copertina con alette lunghe plastificazione lucida
Edizione: 2018
ISBN: 978-88-8486-756-8
Product ID: 3233

Descrizione

Perché l’ennesimo libro su Aldo Moro, perché cadere nella suggestione del quarantesimo dalla morte, nella trappola degli anniversari? Per un dovere di generazione verso chi ha patito, in nome e per conto di tutti. Per una pietà speciale dedicata ai morti per violenza politica. Per un’angoscia che va e viene e mi pare di asciugare, in parte. Dunque, per un egoismo contro lo star male, il sentirsi male.
Con questo libro vorrei ripassare i nostri comportamenti e dipanare la congiura dei mediocri.
Si tratta di una congiura impropria. La congiura, in questo affare, non è completamente stabilita, non è preparata ufficialmente dai tanti personaggi che vi concorrono, direttamente e indirettamente, consapevolmente e inconsciamente. È quel tipo di congiura che si fa da sé appena scatta il luogo in cui ci si porta a convenire. Appunto, il sequestro e la strage. La congiura di prima mano, la congiura vera e propria, appartiene solo ed esclusivamente alle Brigate Rosse.
La congiura di “seconda mano”, quella in conseguenza della congiura vera e propria, si forma dopo. Non è l’origine. La congiura di “seconda mano” è l’effetto.
Una volta rapito Moro, allora scattano tutte le negatività, gli interessi collaterali a cui convergono i congiurati. In senso stretto, il termine congiura sarebbe improprio. Diventa congiura senza giuramento e avviene per convergenza, per combinazione dopo che il fatto è accaduto. È una specie di congiura rimediata, una post congiura.
Ragionano così, i mediocri, gli invisibili mediocri. Sibilano queste parole: “Visto che il sequestro di Moro è accaduto, adesso ci mettiamo anche del nostro”.
I mediocri non sono quelli schierati da una parte o dall’altra, chi stava con il partito della non trattativa e chi no, chi era bianco e chi rosso. Per mediocri intendo tutti coloro che non hanno operato a sufficienza, si sono girati da una parte, hanno percorso una strada fissamente, hanno omesso di intervenire. Intendo chi scelse lo Stato invece della Persona, l’astrazione di un’ideologia anziché il sangue pensante delle regole, dei diritti e dei doveri pulsanti nel corpo della Persona.
Per primo, parlo delle Brigate Rosse, i colpevoli assoluti e unici del progetto di morte e di eversione. Quindi tutte le centrali interne ed esterne all’Italia, di carattere politico, morale, culturale. Soprattutto coloro che scelsero e continuano, sotto traccia, nei sotterranei della loro coscienza, quasi sempre in silenzio, a scegliere un’equidistanza tra lo Stato e l’anti Stato, invece di entrare, con la spietatezza della libertà, sulle menti lacerate dalle allucinazioni odierne e da quelle venute da lontano. Una tutta nostra allucinazione italiana su cui non decidiamo, magari con una nuova Costituente, di operare una bonifica profonda e totale.
Bonifica significa tornare a una bontà, rendere buoni terreni e comportamenti, perderci in un’assoluzione reciproca fondata sulla promessa giurata e scritta nel Sinai della laicità. La promessa di una pace intorno alla Persona, della sua intangibilità.
Scriveva nel 1946, nel cuore del farsi della Costituente, Aldo Moro, professorino e padre costituente: “Uno stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana…”.
Lo scriveva nel 1946 e sono le stesse parole uscite dalla prigione nei 55 giorni del 1978. Moro era sempre, identicamente, Moro. Non adattava nuove parole per una trattativa personale, per la sua vita singola. Moro si riferiva a una persona, a lui perché lui era prigioniero, ma avrebbe riguardato ciascuno di noi, per diritto universale alla vita, per la centralità della persona.
A Moro, dunque, si torna per enunciare l’altezza dell’amore e quindi della democrazia, l’irrinunciabilità ad essa. A Moro si torna per denunciare la riduzione dell’aspirazione verso la propria vita e la vita dell’altro, per indicare soggetti pronti a riunirsi in nome di un Paese fragile invece che a dividersi.
A Moro si torna per carpire il suo insegnamento alla pazienza perseverante, alla tolleranza, all’idea che le cose della vita e della vita politica si ottengono per persuasione e non per comando o per recite brevi.
A Moro ritorno per pregare la sua morte e la morte di tanti sventurati, colpiti da un terrorismo armato di pistole e di mitra, caricato di ideologie perse. Con menti armate da cattivi maestri. Hanno ucciso migliaia di persone in quegli anni. Dovremmo scriverli tutti. Per primi, a simbolo, i cinque agenti della scorta di Moro, trucidati in via Fani, alle 9 del 16 marzo 1978, quarant’anni fa. Eccoli: Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi.
A Moro, infine, ritorno e mentre avanzo verso di lui, mi sembra meno scura la morte, meno atroce la sua solitudine in quella prigione, che è stata, letteralmente, un lager ad personam oppure una foiba orizzontale: centimetri 90 per centimetri 300, 55 giorni, neppure l’ombra di un viso amico o la visita delegata di un proprio caro. Nessuno.
Una preghiera.
Tonino Zana