Descrizione
Da più di due secoli e mezzo la Queriniana è la biblioteca della città di Brescia: data infatti al 1° aprile del 1750 l’apertura di questa istituzione, voluta dal cardinale Angelo Maria Querini “a pubblico benefizio ed utilità” dei bresciani. Da allora – salvo una brevissima parentesi conseguente alle vicende della Seconda Guerra mondiale – all’interno delle sue sale ha accolto ininterrottamente studiosi e lettori da ogni parte del mondo, residenti o solo in visita da altre città.
L’edificio, costruito tra il 1743 ed il 1750, rappresenta uno dei primi esempi di biblioteca in Italia: non si tratta, infatti – come spesso accade – della dimora patrizia trasformata ed adattata a biblioteca, bensì di un edificio progettato per questo scopo, in grado di soddisfare le esigenze del pubblico di metà Settecento: ampi spazi per la lettura, sale per la riunione delle Accademie, luoghi per la convivialità.
In realtà, la Queriniana delle origini non era semplicemente una biblioteca, bensì anche una biblioteca: al suo interno, infatti, vi era un piccolo museo con quadri, stampe, disegni, manufatti in avorio, globi geografici, monete e statue; nelle sale sottostanti, ora adibite a deposito librario, era ospitata una tipografia; sul tetto, protetto dalla splendida balaustra contornata di statue, avrebbe dovuto trovarsi un piccolo osservatorio astronomico. Era, in sostanza, una “casa della cultura”, che corrispondeva all’ideale della cultura enciclopedica dell’Illuminismo settecentesco. È solo per effetto della legislazione napoleonica che la biblioteca assunse l’aspetto attuale: al suo interno vennero lasciati i libri, mentre tutte le altre opere e gli oggetti d’arte vennero trasferiti e dettero origine al primo nucleo dei Civici Musei d’Arte e Storia, oggi compendiati nel monastero di S. Giulia e nella Pinacoteca civica.
Le radici settecentesche della Queriniana sono ancora perfettamente visibili, in quanto essa rispecchia fedelmente – nella struttura architettonica e nei materiali contenuti – l’impostazione culturale di tipo enciclopedico del fondatore, aperta da un lato verso la cultura umanistica, di carattere letterario, storico ed erudito, e dall’altro verso le arti figurative ed il collezionismo. L’orizzonte era però, se possibile, destinato ad espandersi negli anni immediatamente successivi alla morte del Cardinale, quando all’interno dell’edificio trovarono sede alcune Accademie ad indirizzo scientifico ed erudito, tanto che è possibile affermare che, in quegli anni, si stava verificando un profondo movimento di rinnovamento e modernizzazione della cultura bresciana, aiutato fra l’altro dalla grave ed inarrestabile decadenza politica e sociale della Repubblica di Venezia. In tale contesto, è facile vedere nella vocazione pubblica delle scienze e delle arti e nella continua dotazione di strumenti per la ricerca alcune fra le risposte date all’esigenza culturale tipica dell’illuminismo: la partecipazione sociale delle conoscenze.
È stato ricordato come, fin dalle origini, Querini non avesse concepito la biblioteca come un semplice deposito di libri ad uso esclusivo di una ristretta élite di intellettuali, bensì come vero e proprio luogo di aggregazione degli studiosi, bresciani e non; era infatti ricca di libri, spaziosa, luminosa, calda, con stanze per la riunione delle Accademie e che, all’occorrenza, potevano essere adibite a museo o trasformate in elegante appartamento di rappresentanza. L’eleganza e la piacevolezza del luogo, che Querini stesso decantò nei propri scritti, erano inoltre accentuate dalla raffinatezza dei soffitti riccamente affrescati e dalla luminosità delle finestre, attraverso le quali la vista poteva spaziare dall’ameno giardino vescovile fino alle prime balze dei monti prossimi alla città.
Molte sono le chiavi di lettura per comprendere un fenomeno come quello verificatosi a Brescia in seguito all’apertura della Biblioteca. Ormai accantonato il discorso legato ad una volontà edonistica (contraddetto dalla lettura di documenti riferibili direttamente all’esperienza quotidiana del cardinal Querini) pare più opportuno sottolineare, invece, come si tratti di un atto di profonda e sentita appartenenza alla cosiddetta “Repubblica dei Letterati”, cioè a quel sodalizio ideale che legava, attraverso il comune amore per gli studi, gli eruditi di tutta l’Europa. Nell’ottica queriniana, l’evento privilegiava le persone prima ancora che i libri e in questo sta un’ulteriore testimonianza della modernità dell’iniziativa. Non va trascurato, però, un elemento tutt’altro che marginale: la fondazione della Biblioteca venne a coincidere con il termine del processo di allontanamento – fisico ed ideale – del Querini da Roma. Allontanamento volontario, a seguito di vicende che lo avevano visto sostanzialmente sconfitto nei confronti della politica della Santa Sede, come la soppressione del patriarcato di Aquileia e la diminuzione delle feste di precetto. In entrambi i casi il Cardinale si trovò in aperto contrasto con la politica pontificia e le azioni compiute in nome e per conto dello Stato veneto, di cui si sentiva rappresentante alla luce di una “venezianità” familiare di lunga data, resero insanabili contrasti sopiti per anni. Inoltre, la mancata adesione ed in qualche caso l’aperta proibizione da parte del Papa a continuare i rapporti con gli eterodossi, fecero sì che il lavoro pastorale attuato dal Querini fosse destinato a rimanere senza alcun effetto.
Questi elementi contribuiscono in parte a spiegare la fondazione della “sua Vaticana”, ma soprattutto permettono di cogliere il valore fortemente allusivo delle primitive decorazioni parietali del salone di lettura, ora occultate da uno strato di scialbo e dalle scaffalature ottocentesche dei libri. Si tratta di tondi di grandi dimensioni con ritratti di personaggi inevitabilmente rivolti al passato, a quell’età dell’oro per la Chiesa rappresentata dalla Riforma, oggetto di studi appassionati e del tentativo da parte del vescovo di Brescia di uniformare la propria vita ed azione pastorale a degli ideali che non parevano più riconoscibili né a Roma né altrove. Di conseguenza, accanto ai Padri della Chiesa bresciana e universale e ai grandi fondatori di Ordini monastici, ebbero un posto di assoluto rilievo i ritratti di cardinali e pontefici riformatori: Reginald Pole, Gaspare Contarini, Pietro Bembo, Jacopo Sadoleto, Nicolò Albergati, Domenico de Dominicis, Pietro De Monte, Eugenio IV, Nicolò V, Paolo II e Paolo III. Infine, conscio ed orgoglioso del proprio profilo intellettuale e culturale, Querini fece dipingere nelle mani di ciascun personaggio effigiato nei tondi almeno una delle sue opere: dai Primordia Corcyrae, alle varie Decades epistolarum, alla Vita S. patris Benedicti, al trattato De Brixiana literatura, oltre naturalmente alle edizioni degli epistolari di Francesco Barbaro e di Reginald Pole che tanta fama gli diedero ben oltre i confini dell’Italia di allora.
La costituzione della “Colonia Vaticana” all’interno della Biblioteca è uno dei fenomeni più significativi della Brescia di metà Settecento: luogo e momento in cui si svilupparono, in embrione, molte delle esperienze culturali delle epoche successive.