Descrizione
«Miele amaro» nasce da una storia vera. Un’amica, anni fa, sotto le feste di Natale, mi aveva consegnato una busta di pezza, illustrata dal sanguigno volto di Babbo Natale e la scritta «auguri». Conteneva 67 fogli, un po’ a righe, un po’ a quadretti, scritti con grafia visibilmente di persona molto anziana, cosparsi di errori d’ortografia. L’amica non rivelò né la provenienza, né l’autrice dello scritto. Voleva che ne ricavassi qualche cosa, ma non avevo capito se un romanzo, una memoria scritta correttamente, o nulla. Fatto sta che, nella concitazione di quei giorni, non le chiesi per quale scopo m’avesse affidato busta e fogli. Né mai in seguito chiesi delucidazioni. Poi ci siamo perduti di vista. Solo che, tempo dopo, leggendo la storia, la trovai di stimolante interesse, non solo, ma si prestava moltissimo a raccontare l’ultimo decennio del regime fascista, non meno che gli ultimi quindici anni delle case chiuse.
C’era materia per ricavarne una vicenda intrigante. La stesura, però, veniva rimandata in continuazione perché nel frattempo ero occupato in altre pubblicazioni più… incalzanti, tra romanzi, saggi, commedie, biografie di personaggi bresciani. Poi, nella primavera del 2014, ho rotto gli indugi e mi sono messo a scrivere questa storia di donna perduta. Dalle 67 pagine ne sono scaturite 350 e, dunque, pur rimanendo fedelissimo allo scritto originale, ci ho messo molto del mio, sconfinando anche nelle case chiuse di lusso parigine, dopo quelle milanesi dove la protagonista Rita (nome indicato nell’anonima memoria) eserciterà l’amore mercenario per circa 16 anni, fino alla definitiva chiusura delle case di tolleranza alla fine di settembre del 1958.
Ovviamente ho utilizzato nomi di fantasia per le piccole località e per i quasi cinquanta personaggi che girano attorno alla vicenda di Rita, ma con alcuni riferimenti a persone vere che risaltano in positivo. Assecondando un filo di presunzione (del resto se un autore non ne ha non… scriverebbe, no?), ma pure secondo alcuni lettori ai quali ho consegnato il manoscritto per un giudizio, la storia si legge d’un fiato. Fiato lungo, certo, perché 350 pagine sono un bel cammino. Tuttavia se si pensa che circa le case di tolleranza, ad esempio, chi non è vicino agli ottant’anni non può averne esperienza diretta, è logico ritenere che aprire una grande finestra su questo mondo «sconosciuto» non può che richiamare aperta curiosità. E comunque, ancora con più d’un filo di presunzione, accetterei perfino la formula «soddisfatti o rimborsati», perché ho la buona certezza che piacerà. Non fosse così, mi rassegnerò ad alcuni anni di Purgatorio in più per la piccola superbia che vi sta alla base.
e. b.