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Carla Boroni

Fiabe & Favole golose

Il cibo nella letteratura e nelle storie del territorio bresciano

15.00

Categorie: ,
Introduzione: Lucio Facchinetti
Formato: 160x240x7 mm - pp. 176 - illustrato b/n - copertina semirigida con alette lunghe plastificazione opaca
Edizione: 2009
ISBN: 978-88-8486-360-7
Product ID: 2330

Descrizione

Le fiabe e le favole, come sostengono da tempo studiosi e pedagogisti, sviluppano la mente, e non solo quella dei bambini…
Carla Boroni non è nuova a ricerche di questo genere e, come è possibile verificare prendendo in considerazione le sue recenti pubblicazioni, ha un occhio di riguardo, nei suoi studi, per il racconto popolare locale. In questo libro integra tale sguardo con il gusto per gli “oggetti mangerecci e golosi”, ricercati non solo nella tradizione orale del racconto popolare, ma soprattutto nell’ampia documentazione della tradizione scritta.
I racconti popolari non sono presenti solo nella cultura contadina, ma anche presso i gruppi sociali alfabetizzati e più sviluppati ed è per tale motivo che l’autrice non tralascia di prendere in considerazione questo segmento.
Il racconto popolare abbraccia infatti un concetto ampio, nel quale rientrano tutte le storie trasmesse con continuità per periodi più o meno lunghi, indipendentemente dall’epoca e dal luogo in cui sono narrati e da chi.
All’interno di questo concetto più ampio – come fa ben emergere l’autrice nel suo scritto – si distinguono diversi generi come la fiaba, la saga, la leggenda, l’aneddoto, la storiella, il racconto edificante o exemplum, il racconto di conversione e così via. Ciascun genere ha una tematica e una struttura proprie, che tendono a cristallizzare e a fissarsi nel corso del tempo.
Di solito i narratori concepiscono e definiscono le loro storie in termini diversi dagli studiosi, ma ciò non toglie che, in alcuni casi, i confini tra le due competenze possano risultare piuttosto sfumati. È proprio il caso, in effetti, di Carla Boroni che in questo scritto veste in concomitanza i panni di narratrice e di studiosa. Si tratta, naturalmente, di una scelta precisa e consapevole, che rende più godibile il testo, ma che comporta anche altri vantaggi. L’autrice in veste di narratrice potrà così presentare la storia di Caterina (messa in fondo al libro) come una saga ai suoi occhi credibile, o farne una fiaba fantastica del tipo “c’era una volta”, mentre in veste di studiosa, allo stesso tempo, potrà ricercarne gli archetipi e i significati. Se le fiabe (o le favole) contemplano soprattutto storie d’amore contrastate, viaggi, viatici per cambiare, animali che conversano fra loro, matrigne cattive, eroi, diavoli, draghi e streghe, in questo libro Carla Boroni trova un nucleo forte, un comun denominatore nel cibo, nella bocca, nella “gola”, nell’ingestione e nelle astinenze. Le fiabe e le favole qui raccolte diventano “golose” perchè contemplano soprattutto i nostri cibi semplici, dalle polente, alle erbe selvatiche, dagli spiedi di selvaggina (delle nostre valli e della bassa) alle grappe, ai liquori, alle composte …e chi più ne ha più ne metta.
Se le favole anche in questo caso raccontano di piante e animali che parlano fra loro, anche le fiabe mantengono, come sempre, una struttura di base: l’eroe/eroina è elemento fondamentale, deve eseguire imprese dove altri hanno fallito (come Giovannin senza paura), deve sconfiggere gli antagonisti, ha aiutanti e oggetti magici (che in questo caso sono cibi, mele, fichi, frutta e verdura in genere). Una volta risolto il problema di partenza, idealmente si arriva ad una conclusione, ma, a quel punto, possono ricominciare altre avventure, con nuove storie e nuove morali.
Carla Boroni mette bene in evidenza anche un’altra caratteristica della fiaba là dove lo svolgimento della vicenda conduce a risultati che contrastano con la realtà quotidiana. La fiaba, infatti, colloca il mondo a testa in giù ed è inguaribilmente ottimista: il più giovane, il più umile, il più debole, insomma l’ultimo, vince sempre – prima o poi – e questo è rincuorante (anche per gli adulti). Sotto questo aspetto, la fiaba è estremamente diretta e radicale, un po’ meno la favola di cui bisogna sempre sottolinearne la morale finale. I contrasti, in entrambi i casi, sono delineati il più nettamente possibile. Tutto, nell’azione e nel risultato è orientato alla chiarezza. Individualizzazione e sviluppo del carattere sono quasi del tutto assenti. Le figure sono soltanto rappresentanti di ciò che devono rappresentare e in molti casi non hanno nemmeno un nome. Sono semplicemente un re o il re, la matrigna, il drago, il gigante, la sorella, il soldato, il pastorello, il cacciatore… O hanno nomi generici (come i Tre porcellini), o devono accontentarsi di soprannomi, o ruoli parziali (La figlia del sindaco citata in questo libro). In tutto questo, stile e modalità narrative sono caratterizzati da formule fisse (“C’era una volta…”, “e vissero felici e contenti”), astrazione, stilizzazione, linguaggio figurato, simbolismo e da un’esigenza quasi coercitiva alla ripetizione.
L’autrice racconta, in una prima parte, come e perché sono nate le fiabe e le favole, distinguendone la loro storia (dalle origini ai giorni nostri); in un’altra parte si chiede come si potrebbe vivere senza idee sull’origine dell’umanità, degli animali, delle piante e degli dei. Parla dei cibi più significativi che compaiono nei racconti, pone in evidenza la condanna della gola e dell’esagerazione (soprattutto nei racconti a sfondo religioso, tramandati fin dal Medioevo e messi per iscritto solo a partire dal 1800). Ha cercato nella letteratura bresciana legami con le letterature più colte e conosciute, come quella greca, romana o cinese (ma ne ha parametrate tante), ha cercato l’origine, il nucleo di partenza, i motivi narrativi. C’è sempre una fonte comune, anche se pronunciarsi definitivamente sull’origine e l’antichità di una storia non è affatto semplice.
Comunque sia, questo lavoro è originale, anche nell’appendice tutta bresciana, proprio perché non commette l’errore di proporre (o di voler imporre) versioni di storie considerate come originali. Le versioni sono sempre moltissime. E le più semplici, forse, non lo sono perché impoverite dalla cattiva memoria dei narratori, ma, al contrario, perché mantengono l’autenticità del dettato. Non è impossibile, infatti, che proprio le versioni semplici e locali siano le più originali.
L’autrice mette bene in luce come e quanto le opinioni degli studiosi (numerosi quelli menzionati) siano ancora oggi divergenti, sia sulle origini che sul grado di autonomia della trasmissione orale nei confronti della tradizione letteraria.
Carla Boroni non dimentica, in questo libro, di prendere in considerazione anche gli aspetti psicologici e pedagogici dei racconti popolari, la loro valenza educativa, ma anche il loro aspetto puramente ludico e narrativo. Insomma, riesce in un saggio colto (corredato da una significativa raccolta a margine) a far considerare le fiabe come un mezzo per ridestare alla vita l’anima, che nel mondo attuale riesce ad esprimersi con sempre maggiore difficoltà.