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Marco Poma

L’arte serena dell’inganno mediale

20.00

Categoria:
Collana: L.A.B.A. Quaderni dell'Accademia NUMERO
Introduzione: Marisa Galbiati
Premessa: Marco Poma
Formato: 165x240x19 mm - pp. 240 - illustrato b/n - copertina con plastificazione opaca
Edizione: 2010
ISBN: 978-88-8486-407-9
Product ID: 2531

Descrizione

L’arte ci salverà?

Questo volume di Marco Poma propone una rilettura dell’esperienza artistica alla luce di uno scenario caratterizzato da un eccesso di informazione tecnologica. Fin da subito l’autore pone in essere una domanda che nasce da un’urgenza di chiarezza e che, durante il percorso, si trasforma in una affermazione in grado di dare una chiave di lettura a tutto il saggio: come affrontare oggi un modello culturale che favorisce ed esalta il “Dato” (l’informazione asciutta, essenziale, classificatoria, unidirezionale, razionale) a scapito della ricchezza semantica che da sempre alberga nelle pratiche comunicative dell’uomo?
Per comprendere meglio la portata di questo problema è utile riflettere, solo per un breve istante, sulla relazione tra l’atto del ‘comunicare’ e l’atto dell’ ‘informare’. Comunicare (dal latino cum-munus) significa condividere azioni, pratiche, beni simbolici assieme ad altre persone, in un processo circolare di donazione reciproca, attraverso un legame che parte dai corpi e dalla vicinanza fisica. Informare significa invece dare forma, indirizzare secondo certe direttive: l’informazione, contrariamente al rumore, è ciò che riduce l’incertezza tra alternative possibili. La comunicazione, proprio perché coinvolge il corpo nella sua interezza, sede di emozioni, di idee, di sensazioni, di sentimenti, ha una ricchezza semantica che l’informazione non possiede e richiede complessi sistemi per interpretarne i significati. Basti pensare a come, nelle diverse culture, i gesti assumano un particolare valore a seconda delle cornici culturali all’interno delle quali si sviluppano. Se in Occidente per dire ‘sì’ muoviamo la testa in basso e in alto, in alcuni paesi orientali le persone muovono la testa a sinistra e a destra (come facciamo noi per dire ‘no’), generando, in chi non conosce le pratiche comunicative locali, una certa confusione e spesso dei fraintendimenti pericolosi.
Nel corso della storia, l’uomo ha sviluppato enormemente la dimensione comunicativa attraverso il linguaggio dei segni, della parola, del corpo, attraverso pratiche complesse che si intrecciano con quel sistema delle emozioni che rendono l’uomo così diverso dalla macchina. La comunicazione è quindi un evento molto più articolato, sofisticato, multiforme, ambiguo, rispetto all’informazione. Essa appartiene alla dimensione analogica dell’agire umano e aderisce alla sfera dei contenuti: possiamo dire che la comunicazione può contenere l’informazione, ma non sempre, anzi, sempre più raramente, l’informazione è in grado di veicolare una densità comunicativa.
Tutto ciò ha un forte impatto nell’attuale scenario, dominato da un’evoluzione tecnologica che sta premiando il ‘Dato’, l’informazione, a sfavore della comunicazione come evento complesso che caratterizza la dimensione umana e il mondo delle idee.
Il lavoro di Poma si focalizza in particolare sulla comunicazione mediale (l’inganno mediale, come recita già il titolo), che sembra incarnare questa vittoria, grazie a una svolta culturale a cui si accompagna la supremazia dei dispositivi digitali come elementi ordinatori della società dell’informazione, strumenti per il controllo e il dominio, ai quali anche la comunicazione si va assoggettando.
Marco Poma ci mette in guardia rispetto a questo scenario e lo fa interrogando con la stessa acutezza eventi che sembrerebbero non avere nulla in comune: dalla distruzione dei Buddha di Bamiyan (2001) ai mondiali di calcio, dal lavoro di Bruno Munari all’emergenza della spazzatura a Napoli, dai mosaici bizantini al cinema sperimentale, da Omero ai fumetti degli anni Trenta.
In ognuno di questi eventi c’è un aspetto che si ricollega alla tesi di fondo di questo saggio: in ognuno l’autore rintraccia i fili sottili che sottendono un impianto concettuale che a volte privilegia il mondo delle Idee (originalità, forza, pulsione, cultura), a volte quello dei Dati (i valori concreti del mercato, gli indicatori economici, la certificazione, la quantità), a seconda del periodo storico in cui gli avvenimenti accadono e anche in virtù delle aree geografiche (Occidente-Oriente) che diventano la sede di modelli estetici che affondano le proprie radici nei diversi intrecci filosofici e religiosi che hanno contraddistinto il sud e il nord, l’est e l’ovest del mondo.
Di fronte all’inganno mediale che l’autore rintraccia nello scenario contemporaneo dei nuovi e dei media tradizionali, si staglia un appello accorato a rivedere le istanze del lavoro artistico: un appello all’arte come “compensazione alla reale bruttezza del mondo rappresentato in modo ingannevole dai media”; un invito all’arte di compiere quasi un miracolo, “di recuperare l’armonia espressiva del dramma attraverso la costruzione di emozioni raffinate e forti come risposta alla bruttezza statistica che i media ci propongono nel mondo; una richiesta all’arte di esprimere quella “capacità estetica nel rappresentare il dramma esistenziale umano che superi lo squallore del dato mediale”.
L’arte dunque viene invocata come una possibile via d’uscita dal dominio tecnologico e puramente strumentale, l’arte che incarna la qualità del mondo delle idee, che si fa comunicazione, testimonianza di un agire e di un pensare che non si impigliano nelle reti delle logiche del mercato, l’arte che nasce dalla ricerca di una verità che l’esuberanza dell’informazione tende a nascondere, l’arte che, da sempre, è passione, ricerca, testimonianza dell’umano nel mondo.
Nel saggio di Marco Poma l’opera artistica è sempre letta attraverso le personalità degli artisti stessi, la loro umanità, la loro vita. Le opere di Piero Manzoni, di Nanda Vigo, di Angelo Mangiarotti, di Bruno Munari, di Andy Warhol, di Metamorphosi, solo per fare pochi esempi, diventano storie in cui rintracciare una sensibilità che consenta di costruire una conversazione sociale, una narrazione in cui ritrovare un senso più alto del pensiero, una qualità dell’operare che oggi sembra latitare, nella società mediale.
L’autore si domanda se sia possibile e quali strade si possano percorrere perché il mondo dell’informazione digitale ritrovi un equilibrio con il mondo umano delle idee. La risposta a questo quesito si legge tra le righe del saggio, laddove si mette in evidenza l’uso distorto dei media, l’uso improprio dei dati e delle informazioni ai quali siamo continuamente soggetti e, al contempo, si celebra la potenza delle idee che l’arte e la ricerca estetica hanno saputo esprimere nel corso della storia, forse ultima sponda a cui aggrapparci per evitare il baratro. Oggi, sostiene l’autore, siamo di fronte a un uso scorretto dei media e questo non potrà che deteriorare quella tensione verso l’armonia che da sempre spinge l’uomo verso la ricerca della felicità.
(Marisa Galbiati)