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Franco Robecchi

Brescia e il colosso di Arturo Dazzi

Nascita, caduta e riabilitazione della statua politicamente scorretta di Piazza della Vittoria

  • IL BIGIO

30.00

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Prefazione: Mario Labolani
Introduzione: Andrea Arcai
Formato: 238x305x17 mm - pp. 128 - illustrato b/n - copertina rigida cartonata + sovracoperta con alette plastificazione opaca
Edizione: 2008
ISBN: 978-88-8486-337-9
Product ID: 2382

Descrizione

La statua del noto e apprezzato scultore toscano, Arturo Dazzi, ritornerà in Piazza della Vittoria a Brescia, la sua collocazione originale, dopo decenni d’oblio, di polemiche storico-politiche, di ostacoli burocratici?
Sono passati 76 anni da quel 1932 che vide l’inaugurazione di Piazza della Vittoria e l’innalzamento della statua, e 63 anni dopo il suo brutale abbattimento, ma ora la ritroveremo nel luogo per il quale fu scolpita?
È l’opera voluta come punto d’arrivo simbolico di uno dei più imponenti progetti bresciani legati all’urbanistica del Ventennio e alla figura di Marcello Piacentini, l’architetto e urbanista romano che operò intensamente in tutta Italia con incarichi di particolare rilevanza. Quello fra Dazzi e Piacentini, era un già consolidato sodalizio, che aveva portato a realizzazioni ricche di fascino formale e artistico, come l’Arco classico del Monumento ai Caduti di Genova o l’Arco di Trionfo di Bolzano, inneggiante, anch’esso, alla vittoria.
La “statua del Bigio”, come i bresciani avevano soprannominato con l’immediatezza che li caratterizza, è un nudo marmoreo alto sette metri, ricavata da un blocco di marmo di Carrara, sopra un basamento in marmo di Botticino, capace di resistere a 280 quintali di peso.
Il lavoro del Dazzi fu intenso e affannoso, nel suo capannone-atelier fra Cinquale e Forte dei Marmi. L’impresa fu da record, almeno per l’aspetto materiale, poiché quella del Dazzi veniva definita la scultura di un solo blocco di marmo tra le maggiori mai realizzate, forse la più grande in assoluto. Il giovane marmoreo sembra sorgere, slanciandosi nudo, privo di armi, dotato solo della sua forza, fisica e spirituale, verso un futuro di progresso.
Le vicende della brescianità sono state consegnate alla storia, proprio come la statua e la fontana che doveva ornare.
Una storia dai contenuti alterni, quella della statua destinata a rappresentare la giovinezza d’Italia, nel ricordo dell’appena conclusa Prima Guerra mondiale e nell’intento celebrativo del rinnovamento nazionale. È quindi il simbolo espressivo di una tenacia e di un’energia giovanili e vittoriose, che erano al centro dell’impresa cui la piazza era intitolata, della Vittoria in quella guerra che era ancora nel cuore degli Italiani, come epico esito di una tensione risorgimentale, di uno slancio eroicamente ideale, di un potente spirito nazionale.
Il “Bigio”, oggi, come allora, farà nuovamente discutere, nutriamo poche illusioni in merito, ma, ormai lontani da simbolismi e collocamenti ideologici, potrà divenire oggetto di discussione nel senso che ci auguriamo: termine di confronto e stimolo dialettico, di verifica della maturità storica e sociale raggiunta.