Descrizione
La prima impressione che si ha nell’accostarsi alla lettura del pregevole testo di Daniel Vogelmann qui presentato è il profondo senso di rispetto e di un inevitabile syn-patheîn allorché ci si trova dinanzi a qualcosa di molto prezioso. Qualcosa di cui essere grati perché offrire una testimonianza, parlare e scrivere del proprio vissuto – in questo caso del vissuto di un figlio della Shoah – espone, sin da subito, al dolore a fior di pelle di chi si è trovato e, a volte, ancora si trova – proprio perché il passato non passa mai del tutto – a dover fare i conti con il mostro che ha tenuto in scacco la sua esistenza e che, ogni tanto, a «ora incerta» torna a inquietarlo. Quel cattivo compagno di cui narra Adorno nel celeberrimo aforisma 123 è quel «finta di niente» dal quale l’Autore cerca con tutte le sue forze di fare esodo.